Camminare è un gesto sovversivo.
Quando leggo un libro, certi capitoli, argomenti e frasi risuonano in me più che altri. In realtà questo mi capita molto più spesso che non solo quando leggo. Ad esempio noto che, passeggiando con Valeria per le strade e vicoli di Milano, lei è molto attratta dagli oggetti curati e di gusto che vede lungo il percorso e da tutto ciò che il cui nome finisca in -otto oppure in -ottino. Adora ammirare alcuni tipi di calzature e abbigliamento, non disdegna nemmeno gli oggetti per la casa. Io ci passo davanti e quasi non li vedo.
La mia vista ha un feeling particolare con i bar, i graffiti e le scritte sui muri. Riguardo ai bar, il mio occhio è molto selettivo. Ce ne sono migliaia a Milano, in centro poi… Si somigliano un po’ tutti: puliti, ordinati, minimalisti e molto attenti alla forma, al design e alla veste grafica. In effetti offrono qualcosa in più che un semplice caffè o cappuccino. Ti fanno entrare in un immaginario dove tutto è bello, ordinato, perfetto, creativo e cool un po’ come nelle pubblicità. Ovviamente anche questo fa parte dei prodotti che vendono e anche questo lo paghi, cosicché un caffè costa 1.20€ e un cappuccio con la brioche 2.90€. Ecco, questo è il genere di bar che passa davanti al mio sguardo e subito sfila via senza lasciar traccia, nemmeno un’impressione.
I bar che risuonano in me, spesso arrivano direttamente dagli anni ’80 o forse da ancora prima. Non sono forzatamente vintage, sono proprio così come erano allora. Tali e quali e senza pretese. L’atmosfera che vi regna è sempre un po’ malinconica o decadente, magari c’è una tenda storta, un cavo in vista, un muro un po’ scrostato e un minimo di disordine.
Se ne trovano molti in periferia ma anche in centro, nelle vie traverse e non affollate dai turisti del fine settimana che vengono a fare shopping. Adoro entrare in questi bar, prendere un caffè, osservare tutto ciò che mi circonda e gustarne l’atmosfera. Qualche volta mi soffermo su un vecchietto seduto a un tavolo a leggere il giornale, altre sull’operaio edile che fa colazione prima di arrampicarsi sull’impalcatura di fronte, altre ancora su signore in chiacchera di ritorno dal mercato con le borse della spesa. Osservo, ascolto le conversazioni e bevo il mio caffè. E’ un mondo che mi appartiene e che risuona in me, nella mia memoria e nei ricordi. E’ un mondo che mi parla.
Ho letto un libro, in questi giorni, che si chiama “Camminare” di Erling Kagge il cui sottotitolo è “un gesto sovversivo”. Un libro ricco di spunti e di citazioni storiche, filosofiche, antropologiche e sociali. Un libro scritto molto bene che procede per piccoli racconti e riflessioni. A tratti autobiografico. Anche in questo caso, alcuni argomenti hanno riverberato in me più che altri. Succede con ogni libro che parli di cose che, in qualche modo, fanno parte di me. La stessa cosa che capita al mio sguardo quando, camminando per strada, si posa inevitabilmente sui muri e sulle scritte, fruga nei bar e negli angoli lasciati andare, si sofferma sulla facciata di una casa di ringhiera piuttosto che sulle vetrine luccicanti e i ristoranti di lusso. In questi giorni ho letto un libro di Erling Kagge che ha risuonato in me così:
Camminare è un gesto sovversivo.
“Il mondo è organizzato in modo da tenerci il più possibile seduti. […] Per governi e imprese è più facile controllarci finché siamo seduti. Camminare può rivoluzionare un’intera nazione. Quando leggo la storia francese, ho l’impressione che ogni rivolta sia cominciata con un gruppo di dimostranti che attraversava a piedi una città e raccoglieva pietre da terra, lanciandole contro finestre o persone. […] Il filo rosso tra le battaglie per i diritti dei lavoratori, delle donne e delle minoranze è un corteo di dimostranti.
Cosa accadrebbe se i potenti fossero costretti a camminare quotidianamente in mezzo alla gente? […] le persone di potere si allontanano fisicamente dalla quotidianità degli altri o, per dirla con le parole di Kierkegaard: «I rapinatori e le élite si trovano d’accordo su una sola cosa: vivere nascondendosi». C’è qualcosa di antidemocratico nel tenersi a distanza dalla natura, dall’asfalto e dagli individui sulle cui vite si decide. […] Se da lontano il mondo può apparire omogeneo, da vicino la mappa non corrisponde al terreno. Maggiore è la distanza tra chi decide e chi subisce le decisioni, minore è la rilevanza di tali risoluzioni per i destinatari.” (Kegge, Camminare, un gesto sovversivo; Ed. Einaudi)
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Daniele Ceddia
Autore
Mi occupo di educazione. Nel tempo libero scrivo e cammino. Mi piacciono le pause, la cucina, le storie e i silenzi della natura.
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